venerdì 2 aprile 2010

Un padre e un figlio


Guardo fuori dalla finestra, in questa domenica grigia e priva di senso.
Il vecchio pino sta sempre là fuori, immobile, oggi.
I rami suoi sono prosperosi e pesanti. Talmente pesanti che sembrano stanchi, affaticati. Secondo me anche lui ha voglia di una bella giornata.
Apro la finestra, chiudo gli occhi e lo sento sbuffare. Non ne può più, e lo capisco.
Poi sposto lo sguardo ed eccolo là, l’altro pino.
Un po’ più spoglio, un po’ più esile. Guardo i rami che puntano dritti verso l’alto. Sembrano delle braccia, alzate verso il cielo grigio.
Non mi stupirei affatto se lo vedessi ondeggiare da un momento all’altro, danzando.
E’ un albero positivo quello di destra, niente da dire.
E’ palese, sorride. Si vede che è speranzoso.
Ogni tanto lancia uno sguardo amorevole verso il suo compagno dai rami piangenti e gli sussurra di non disperare. Si nota un ramo, là dietro, appoggiato sulla sua ipotetica spalla, come un abbraccio confortante.
E il vecchio pino sospira, ma sotto sotto sorride un po’ anche lui.

Cavolfiore

Attendere è snervante, lo so. Ma quando lo fai per lavoro, alla fine, ti ci abitui. Ti viene una pazienza che neanche Gesù Cristo. E quando sei in mood positivo, accidenti, è anche bello perdersi a guardare i dettagli che ti stanno attorno. Se penso a quanto non lo si fa, nella vita di tutti i giorni, mi vengono i brividi. Meglio non pensarci. Comunque, dicevo. Le segretarie come me, nei loro vestiti casual, oddio quanto si infervorano parlando di lavoro! Gesticolano, hanno la faccia incazzata, si lamentano di questo e quello, neanche fossero avvocati o che so io. Ci tengono al loro lavoro, si vede, anche se poi si lamentano tutto il tempo. Che brave. Ma datevi una rilassata, santo cielo. Alla fine del mese lo stipendio è sempre il solito. Ricordatevelo in momenti come questi. Io lo detesto invece, il mio stupido lavoro. E me ne frego anche. Avrei dovuto fare tutt’altro nella mia fottuta vita, avrei dovuto prendere degli indirizzi scolastici completamente diversi. Ma che ne sapevo io appena uscita dalle medie? Mi ricordavo a malapena il mio nome e cognome. Non sapevo nemmeno se ero viva o morta. Non vale, è tutto un imbroglio. Rivoglio indietro il mio tempo. Non c ‘è il tasto rewind? No? Peccato. Morirò col rimpianto. Pazienza. Ad ogni modo, mentre sto facendo l’ennesima coda davanti ad uno stupido ufficio del tribunale, qualcosa, stranamente, attira la mia attenzione. Più che qualcosa, qualcuno, in realtà. C’è un essere di sesso maschile che attende prima di me, e non so ancora di preciso il perché ma mi sta antipatico. Sarà la faccia inespressiva, forse. O saranno le scarpe che porta? Orrende. Non ho mai visto delle scarpe così brutte in tutta la mia vita. E sì che di scarpe ne ho viste. Non si può andare in giro con delle calzature del genere, io se fossi in lui mi vergognerei. Comunque. Oltretutto, guardando meglio, sembra che nell’orecchio destro abbia qualcosa ed è proprio nel momento in cui noto questo dettaglio che partono gli interrogativi: cos’è? Sarà cerume? Sara un apparecchio acustico come quello dei film, gommoso e trasparente che non si nota molto ma che io ho notato perché nel mio piccolo sono una faina? Sarà una microspia? Sarà il suo orecchio che è fatto così (male) di natura?
È una protuberanza che mi incuriosisce, e non poco, aggiungo. Purtroppo non sono abbastanza vicina per dare una risposta ai miei interrogativi. Oltretutto sarò anche una faina ma non sono di certo un falco, perché sono miope. Ebbene sì. Di conseguenza, ora, mi arrovello escogitando uno stratagemma per avvicinarlo e poter finalmente guardargli nell’orecchio. Non sarà facile, lo so, ma quando io voglio una cosa la ottengo. È più forte di me. Questo fatto offusca per un momento la mia antipatia per questo essere di sesso maschile. Io devo sapere.
Ora, oltre ad avere la faccia da cavolfiore apatico, le scarpe orrende e una misteriosa protuberanza nell’orecchio, l’essere ha l’aria di non sapere cosa stia facendo né tanto meno dove sia (e questo la dice lunga sulla sua intelligenza, ma ok ok, non voglio giudicarlo troppo anche se, dai, si vede, è un demente). E qui urlerei un: bingoooo! ma sono una persona parecchio discreta all’apparenza quindi lo urlo mentalmente.
Non che sia motivo di vanto ma conosco uffici e tribunali come le mie tasche. Sono certa che l’essere non sa perché sta in coda davanti a questo benedetto ufficio. Io credo che lui abbia bisogno di un’informazione e io, santo cielo, gliela posso fornire. Mica poco. Ho la scusa per avvicinarmi. Lo faccio.
‘Scusi, posso aiutarla? Che deve fare?’ – dico io, sfoderando il mio sorriso migliore con l’aria rassicurante di una che ne sa.
‘Bhè’ – risponde l’essere di sesso maschile – ‘effettivamente non so se sono nell’ufficio giusto… ehm… dovrei ritirare dei documenti… sa, dei decreti ingiuntivi…’
Ed eccoci qua, al momento cruciale. Il momento in cui gli posso guardare nel famigerato orecchio a distanza ravvicinata. Sono quasi emozionata, lo ammetto. Con destrezza mi sposto di 15° a sinistra e…
‘L’ufficio è giusto’ – rispondo io, anche un po’ delusa in realtà, speravo avesse completamente sbagliato tutto e avesse fatto tre quarti d’ora di coda inutilmente – ‘ma non deve aspettare il suo turno, può tranquillamente entrare e ritirare le sue copie. Prego, entri pure!’
‘Oh, grazie grazie…’ – dice lui, con la stessa faccia inespressiva di sempre, ovviamente.
E ora mi concedo lo spettacolo. Il povero vecchio essere di sesso maschile, vaga per l’ufficio in cerca delle sue dannate copie. Ma non le trova. E io, che da là fuori, le vedo con i miei stessi occhi, lo guardo, gongolando. Credetemi, ha vagato per quel maledetto ufficio, con la stessa espressione da carciofo triste per un tempo infinito. Io l’avevo detto che era un pirla ma voi non mi avevate creduto.
Ovviamente il suo cervello è troppo statico per tentare di chiedere, al responsabile dell’ufficio che sta seduto pacifico al suo tavolo, dove diavolo siano le sue stramaledette copie.
Morale della favola: esce, riprende il suo posto in coda, con la sua faccia da vegetale, le sue scarpe orrende e il suo orecchio strano.
Ah, l’orecchio. Era proprio fatto così. Niente microchip, niente apparecchio acustico, niente effetti paranormali. Solo una triste, insignificante, patetica escrescenza. Che amarezza. Io che credevo di trovare chissà che. Ve l’avevo detto che mi stava antipatico. Ve l’avevo detto io che era un essere stupido e insignificante. Ora dovete credermi per forza.