mercoledì 22 settembre 2010

Dedicata




Cerca di essere originale
Con la faccia indurita
Il passo sicuro di chi affronta tutto senza paura
La risata quando serve
La battuta sempre pronta
Tasche perennemente vuote
Strafottenza
Idee, spunti, parole, parole, parole
Occhi attenti che trasformano ogni cosa in racconto
Muri spessi

Fragilità
Mani gelide
Denti imperfetti
Occhi che hanno visto troppo
Occhi che parlano
Occhi che ridono
Occhi stanchi
Schiena a pezzi
Scarpe rotte e profumo di sapone
Paura

domenica 19 settembre 2010

M.02

Sono il giullare
della vostra insulsa
corte dei miracoli.
Sono l'effimero
l'eccesso
così patetico perché
me stesso.
Sono il rancore,
il brusio maligno
di zanzara
che ronza nell'orecchio.


Ascoltami.


Tu vomiti
nel mio cervello
discorsi ovvi
e senza senso.
Una sola misura
voglio ci divida:
il silenzio.

di M.02 dal 'MeP - Movimento per l'Emancipazione della Poesia'
[http://mep.netsons.org/]

Ecco.

"E' un chilo di dolore quello che hai lì sulla testa? Bene. Io ho un
chilo di malore. Quale vale di più? Ti frega? A me non frega.

Anzi. Ho un fanculo qui, che mi pende dal lobo. Qualcuno può contestarlo? Macché.

Del frega e del non frega, si può anche discutere. Ma non del chilo di malore.

Perciò, fanculo.

Per stasera solo, però, eh?

Domani cambia tutto."

[non mi ricordo assolutamente la fonte]

Cosa ho pensato di me quella notte: second shot

Sono una brava allieva del mio pensiero.
Sono docile ai miei cambi d'umore.
E sono proprio fottuta.

di V.02 dal 'MeP - Movimento per l'Emancipazione della Poesia'
[http://mep.netsons.org/]

Aspettative

Forse ho sbagliato piazza.
Né qui né lì arriva nessuno.

di E.02 dal 'MeP - Movimento per l'Emancipazione della Poesia'
[http://mep.netsons.org/]

sabato 18 settembre 2010

Pensieri ritrovati dopo molto tempo, prima dell'ennesima sofferenza

- Libera -

Ho sognato un vento forte che mi travolgeva
il sole accecante negli occhi
un senso di leggerezza
camminare a mezzo metro da terra, naso per aria
canticchiando motivetti, canzoncine allegre
sorridendo con occhi, bocca e corpo.

Ho sognato le tenebre, buie e fredde
un sentiero tortuoso, fatto di mille insidie
rami neri cascanti sulla mia testa
le mie mani toccano il nulla, i miei occhi aperti vedono solo il nero
guardo in basso, un tunnel profondo, tocco la terra con i piedi
è fredda, dura, ma mi scuote.

Sveglia.

___________________________

- Ombre -

Sul gradino più alto della scala, l’ultimo, la fine della salita
L’universo sembra così piccolo
Parole e sguardi si incrociano, indifferenti
I sorrisi sono vuoti
Gli occhi non parlano

Occhi curiosi che sanno di rinascita
Occhi splendenti che dicono tutto
Ricominciare su una linea diversa
La linea della leggerezza non mi appartiene
Camminare sulla fune guardando per aria

Un passo avanti e tre indietro, un timido sussurro e un urlo
Maledettamente alternati

I pensieri, come palloncini colorati
Legati stretti al polso
Davanti allo specchio vedo la paura che sogghigna
E vedo la forza
Sento la corazza, sfiorata dai miei spettri

Un pensiero mi attraversa l’anima
È un uragano di follia
Tremendo e stupendo
Una cascata di parole a cuore aperto
Improvvisi pugni nello stomaco

Seduta, sul gradino più alto della scala
Vedo un’ombra, accanto alla mia.


[dedicata a Nicola]

Riflessioni di una mente confusa

Penso che tutto passa, alla fine.
Gli anni passano, le persone fanno progetti che poi si disgregano, c'è chi non pensa a niente e vive tranquillo, chi non ha la testa piena e chi parla e basta.
Di cosa ha bisogno l'essere umano ?
Ma cosa cerca di preciso?
In fondo la felicità che cos'è?
Forse è una corsa infinita, una salita fin troppo ripida che cerchi sempre di raggiungere.
Qualcuno si accontenta, qualcuno se ne frega e vive nel suo limbo di disperazione senza fare niente di concreto.
Passa l'esistenza.
E' un po' come correre sul posto, ma correre piano e non andare da nessuna parte.
Gli anni sono una sfida, la vita è una continua sfida, non c'è mai pace per gli animi e non c'è mai controllo alla sofferenza.
Un tempo ridi, un tempo piangi, è un ciclo continuo.
Che senso ha allora essere vivi?
Che senso ha se non ci sono degli obiettivi, se non si sa ciò che si vuole, se non si riaprono le porte, se la luce è sempre annebbiata?
Siamo sempre troppo presi a riflettere sul dopo e sul prima e ci perdiamo il presente.
Quante persone al mondo lo fanno e ci perdono tutta l'esistenza.
Quante volte io mi sono dovuta fermare a riflettere, tante, troppe volte.
Ci son stati tempi in cui ho creduto di impazzire, ci sono stati giorni che ho pensato di non viverla più questa vita insignificante.
Ho pianto, mi sono trovata nel limbo nero della tristezza, come un vortice che mi trascinava giù nel profondo, avevo la mano tesa verso nessuno che volesse tendermela a sua volta, solo schiene voltate.
E le schiene continuano a voltarsi, e quel piccolo puntino nell'universo sono io.
Com'è difficile vivere davvero.

mercoledì 15 settembre 2010

..::: KhuzuK :::..: Eterna risorge sempre la speranza, come un fungo v...

..::: KhuzuK :::..: Eterna risorge sempre la speranza, come un fungo v...: "'Il matrimonio, Dio, i figli, i parenti e il lavoro. Non ti rendi conto che qualsiasi idiota può vivere così e che la maggior parte lo fa?' ..."

lunedì 13 settembre 2010

Game over





Il gioco è finito oggi.



Son finiti i gettoni.



Insert coin.



Esco dalla sala giochi e faccio una passeggiata in solitudine.



sabato 5 giugno 2010

Una lampada


Ed infine, ci arrivai.

Era temere che chiunque potesse essere migliore di me che non mi faceva star tranquilla. Che poi mica ci voleva tanto, accidenti.
Uno spara una frase azzeccata, che di sicuro attirerà l’attenzione e.. ah! perché non ci potevo arrivare io? A che pensavo in quel momento? Dov’era la mia testa? Su un’altra dimensione, come al solito? Probabile.
Diavolo, perché non sono profonda come gli altri? Perché non mi sento mai all’altezza? Perché c’è sempre qualcuno che, con un soffio appena, riesce a spingerti nel buio?

Ed eccola là, lei, la paladina delle nottate insonni, la fottuta nemica, l’insicurezza. Si materializza, ma mica lentamente, no. A mo’ di gavettone, arriva. Bam! Addosso! E un attimo prima sorridevo, e il momento dopo ho la faccia pietrificata peggio della Sfinge. E lei, là, a ricordarti quanto sei fragile, quanto sei vuoto, quanto poco vali. Te lo sussurra piano all’orecchio quanto sei fallito, l’infame. Se ne sbatte se ti fa pietrificare la faccia. Ci gode, anzi. ‘Sei un nulla’ – dice, la bastarda. E quando ci vuol andar giù pesante, ride. Ma non ti ride in faccia, davanti a quella faccia da Sfinge che ti ritrovi. Fa di peggio. Ti ride alle spalle e se ti volti non la vedi, senti solo il suo ghigno gutturale. Penetrante. Ti schernisce. Si prende gioco di te. Ti dice che non ti abbandonerà mai, ti rassicura ironicamente che lei sarà sempre lì, ben celata dietro alle tue spalle. E’ sempre presente, solo che non te ne accorgi. Dannata signora pietrificatrice di facce altrui!
Anche la lampada sulla mia scrivania è sicuramente migliore di me, è più interessante. E per forza! E’ bianca, vedi? Fa luce! Luce! Proprio ciò che tu non fai. La vedi, diavolo, la vedi quant’è interessante? Sì, è tutta sgangherata, ma non vedi con quanta dignità se ne sta là in posa? Se ne frega, lei. Lo sa di essere interessante, si vanta, s’atteggia. E scommetto che, per di più, parla, e dice cose interessantissime, perfino. Ah! Fossi una lampada anch’io!

venerdì 2 aprile 2010

Un padre e un figlio


Guardo fuori dalla finestra, in questa domenica grigia e priva di senso.
Il vecchio pino sta sempre là fuori, immobile, oggi.
I rami suoi sono prosperosi e pesanti. Talmente pesanti che sembrano stanchi, affaticati. Secondo me anche lui ha voglia di una bella giornata.
Apro la finestra, chiudo gli occhi e lo sento sbuffare. Non ne può più, e lo capisco.
Poi sposto lo sguardo ed eccolo là, l’altro pino.
Un po’ più spoglio, un po’ più esile. Guardo i rami che puntano dritti verso l’alto. Sembrano delle braccia, alzate verso il cielo grigio.
Non mi stupirei affatto se lo vedessi ondeggiare da un momento all’altro, danzando.
E’ un albero positivo quello di destra, niente da dire.
E’ palese, sorride. Si vede che è speranzoso.
Ogni tanto lancia uno sguardo amorevole verso il suo compagno dai rami piangenti e gli sussurra di non disperare. Si nota un ramo, là dietro, appoggiato sulla sua ipotetica spalla, come un abbraccio confortante.
E il vecchio pino sospira, ma sotto sotto sorride un po’ anche lui.

Cavolfiore

Attendere è snervante, lo so. Ma quando lo fai per lavoro, alla fine, ti ci abitui. Ti viene una pazienza che neanche Gesù Cristo. E quando sei in mood positivo, accidenti, è anche bello perdersi a guardare i dettagli che ti stanno attorno. Se penso a quanto non lo si fa, nella vita di tutti i giorni, mi vengono i brividi. Meglio non pensarci. Comunque, dicevo. Le segretarie come me, nei loro vestiti casual, oddio quanto si infervorano parlando di lavoro! Gesticolano, hanno la faccia incazzata, si lamentano di questo e quello, neanche fossero avvocati o che so io. Ci tengono al loro lavoro, si vede, anche se poi si lamentano tutto il tempo. Che brave. Ma datevi una rilassata, santo cielo. Alla fine del mese lo stipendio è sempre il solito. Ricordatevelo in momenti come questi. Io lo detesto invece, il mio stupido lavoro. E me ne frego anche. Avrei dovuto fare tutt’altro nella mia fottuta vita, avrei dovuto prendere degli indirizzi scolastici completamente diversi. Ma che ne sapevo io appena uscita dalle medie? Mi ricordavo a malapena il mio nome e cognome. Non sapevo nemmeno se ero viva o morta. Non vale, è tutto un imbroglio. Rivoglio indietro il mio tempo. Non c ‘è il tasto rewind? No? Peccato. Morirò col rimpianto. Pazienza. Ad ogni modo, mentre sto facendo l’ennesima coda davanti ad uno stupido ufficio del tribunale, qualcosa, stranamente, attira la mia attenzione. Più che qualcosa, qualcuno, in realtà. C’è un essere di sesso maschile che attende prima di me, e non so ancora di preciso il perché ma mi sta antipatico. Sarà la faccia inespressiva, forse. O saranno le scarpe che porta? Orrende. Non ho mai visto delle scarpe così brutte in tutta la mia vita. E sì che di scarpe ne ho viste. Non si può andare in giro con delle calzature del genere, io se fossi in lui mi vergognerei. Comunque. Oltretutto, guardando meglio, sembra che nell’orecchio destro abbia qualcosa ed è proprio nel momento in cui noto questo dettaglio che partono gli interrogativi: cos’è? Sarà cerume? Sara un apparecchio acustico come quello dei film, gommoso e trasparente che non si nota molto ma che io ho notato perché nel mio piccolo sono una faina? Sarà una microspia? Sarà il suo orecchio che è fatto così (male) di natura?
È una protuberanza che mi incuriosisce, e non poco, aggiungo. Purtroppo non sono abbastanza vicina per dare una risposta ai miei interrogativi. Oltretutto sarò anche una faina ma non sono di certo un falco, perché sono miope. Ebbene sì. Di conseguenza, ora, mi arrovello escogitando uno stratagemma per avvicinarlo e poter finalmente guardargli nell’orecchio. Non sarà facile, lo so, ma quando io voglio una cosa la ottengo. È più forte di me. Questo fatto offusca per un momento la mia antipatia per questo essere di sesso maschile. Io devo sapere.
Ora, oltre ad avere la faccia da cavolfiore apatico, le scarpe orrende e una misteriosa protuberanza nell’orecchio, l’essere ha l’aria di non sapere cosa stia facendo né tanto meno dove sia (e questo la dice lunga sulla sua intelligenza, ma ok ok, non voglio giudicarlo troppo anche se, dai, si vede, è un demente). E qui urlerei un: bingoooo! ma sono una persona parecchio discreta all’apparenza quindi lo urlo mentalmente.
Non che sia motivo di vanto ma conosco uffici e tribunali come le mie tasche. Sono certa che l’essere non sa perché sta in coda davanti a questo benedetto ufficio. Io credo che lui abbia bisogno di un’informazione e io, santo cielo, gliela posso fornire. Mica poco. Ho la scusa per avvicinarmi. Lo faccio.
‘Scusi, posso aiutarla? Che deve fare?’ – dico io, sfoderando il mio sorriso migliore con l’aria rassicurante di una che ne sa.
‘Bhè’ – risponde l’essere di sesso maschile – ‘effettivamente non so se sono nell’ufficio giusto… ehm… dovrei ritirare dei documenti… sa, dei decreti ingiuntivi…’
Ed eccoci qua, al momento cruciale. Il momento in cui gli posso guardare nel famigerato orecchio a distanza ravvicinata. Sono quasi emozionata, lo ammetto. Con destrezza mi sposto di 15° a sinistra e…
‘L’ufficio è giusto’ – rispondo io, anche un po’ delusa in realtà, speravo avesse completamente sbagliato tutto e avesse fatto tre quarti d’ora di coda inutilmente – ‘ma non deve aspettare il suo turno, può tranquillamente entrare e ritirare le sue copie. Prego, entri pure!’
‘Oh, grazie grazie…’ – dice lui, con la stessa faccia inespressiva di sempre, ovviamente.
E ora mi concedo lo spettacolo. Il povero vecchio essere di sesso maschile, vaga per l’ufficio in cerca delle sue dannate copie. Ma non le trova. E io, che da là fuori, le vedo con i miei stessi occhi, lo guardo, gongolando. Credetemi, ha vagato per quel maledetto ufficio, con la stessa espressione da carciofo triste per un tempo infinito. Io l’avevo detto che era un pirla ma voi non mi avevate creduto.
Ovviamente il suo cervello è troppo statico per tentare di chiedere, al responsabile dell’ufficio che sta seduto pacifico al suo tavolo, dove diavolo siano le sue stramaledette copie.
Morale della favola: esce, riprende il suo posto in coda, con la sua faccia da vegetale, le sue scarpe orrende e il suo orecchio strano.
Ah, l’orecchio. Era proprio fatto così. Niente microchip, niente apparecchio acustico, niente effetti paranormali. Solo una triste, insignificante, patetica escrescenza. Che amarezza. Io che credevo di trovare chissà che. Ve l’avevo detto che mi stava antipatico. Ve l’avevo detto io che era un essere stupido e insignificante. Ora dovete credermi per forza.